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  martedì 29 agosto 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
No, caro Castaldi, Pannella non si è affatto fermato a Bose

di Francesco Pullia

No, caro Castaldi, Pannella non si è affatto fermato a Bose ma sta avanti, molto più in là di te e del sottoscritto, nella stessa direzione, cioè nella stessa tensione, politica e, insieme,ovviamente, naturalmente, etica e religiosa di Tolstoj, Gandhi, Capitini, Lanza Del Vasto, Danilo Dolci.

Le tue considerazioni sono profonde e interessanti ma scaturiscono, lasciatelo dire, da un’incomprensione di fondo dell’intima e forte spiritualità pannelliana che è anticlericale proprio perché religiosamente informata. Un po’, consentimelo, alla David Lazzaretti, apostolo straordinario di amore, nonviolenza, comunione, assassinato, perché evidentemente scomodo, da Stato e Chiesa in combutta tra loro.

E, poi, in Marco trovo molto del percorso di Bonhoeffer, di Simone Weil e, per certi aspetti, di filosofi come Luigi Pareyson da un lato, e Italo Mancini dall’altro. Non è un caso se entrambi siano stati accantonati, rimossi, dal torbido, putrescente scenario culturale italiano seguendo così le sorti di pensatori scomodi come Carlo Michelstaedter, Pietro Martinetti, Giuseppe Rensi.

Ma, a parte questo, cos’è che tanto ti turba? La “falsa” laicità di un testimone di fede come Enzo Bianchi o il fatto che Marco affermi qualcosa che ha sempre innervato la sua azione (e il suo pensiero)? Sei, inoltre, proprio sicuro che tra cattolici e liberali debba esserci solo incomunicabilità, irrimediabile cesura, irriducibile distanza? Sei certo che tutto ciò che scaturisce dall’altra parte, quella a te e da te differente, sia da sbagliato e da rigettare?

Più che la storia, la vita, cioè quella vicenda che tutti misteriosamente ci coinvolge e che è fatta di nessi e palpiti, dimostra che le cose stanno molto diversamente e che prima di tutto, e di tutti, noi laici, se non vogliamo sconfinare nell’intolleranza e nel dogmatismo, siamo non solo testimoni ma artefici di religiosità.

Che Bianchi sia o no considerato dai vertici ecclesiastici poco importa. Anzi, va a suo merito. E, poi, scusami, ti contraddici. Forse per te dovrebbe essere preso in considerazione solo chi gode di una certa considerazione presso le gerarchie istituzionali? Ma non scherziamo. Il lato migliore del cattolicesimo è stato ed è espresso proprio da coloro che, pur non essendo graditi alle gerarchie ecclesiastiche, hanno vissuto fede, a cominciare dal povero Francesco d’Assisi, che fu raggirato dall’avidità simoniaca dei vertici del suo stesso Ordine, proni ai voleri, agli interessi materiali e materialistici, della curia del tempo, e continuare con uomini stupendi della nostra epoca come Teilhard de Chardin, Raimon Panikkar, Eugen Drewermann, l’ormai novantenne padre Anthony Elenjimittan. Ecco, vedi, parlando di Marco ho finito per citare personaggi che adoro. Tutti marginali e invisi alle alte sfere, tutti, però, caparbiamente fermi nella propria intensità.

Il tuo laicismo, caro Luigi, è ammuffito, logoro, come un simulacro imbalsamato. Marco non abita a Bose ma nel cuore della nonviolenza, cioè nella diuturna affermazione della forza della verità. E la verità sboccia come un fiore e diffonde rapidamente il suo profumo quando non è assoluta ma matura nel dialogo, nell’inter-relazione, nell’incontro con un tu che dà senso e dignità a quella convenzione linguistica che chiamiamo io. Non me ne volere. Ho voluto rendere onore, a mio modo, alle tue idee. Con laico, cioè religioso, amore.